Bava, Argento e Carpenter: i miei maestri della paura. In conversazione con Tommaso Ottomano.

Il regista e musicista racconta il suo rapporto con il cinema horror e le sue colonne sonore.

Che cos’è la paura? Un sentimento da cui fuggire ansimando nel buio, come le protagoniste dei film dell’orrore anni ’70, o da accogliere ed esorcizzare. Per Tommaso Ottomano, regista, musicista ed artista classe 1990, la paura è soprattutto fonte di ispirazione.

Le sue opere, che spaziano dai cortometraggi sperimentali ai video musicali ed ai fashion film – con collaborazioni prestigiose con maison come Cavalli e artisti come Maneskin e Lucio Corsi – si lasciano sedurre da un corollario iconografico e tecnico senza dubbio familiare agli amanti di certo cinema italiano prodotto tra gli anni ’60 e ’80.

Tra queste non passano inosservati i due cortometraggi La vergine della fontana e La notte di Evelyn ascrivibili alla serie PAURA, apertamente ispirata dall’omonima raccolta horror CAM Sugar e sonorizzati con le musiche del repertorio dell’orrore della label.

Abbiamo incontrato Tommaso per discutere del suo rapporto con il cinema horror, le sue colonne sonore, e la paura. D’altronde, quale migliore occasione di farlo se non nel mese del brivido?

Tommaso Ottomano. Fotografia di Francis Delacroix.

CAM Sugar Journal: Nella tua arte, come ti relazioni al concetto di ‘paura’?

Tommaso Ottomano: La paura per me è un po’ come la morte e il terrore: concetti e sentimenti che vanno esorcizzati, e che non vanno presi troppo sul serio. Solitamente si tende ad evitare la paura, a me piace invece accoglierla e lasciarmi ispirare.

CSJ: L’horror italiano ha dato vita ad un corollario iconografico tanto preciso quanto unico nel suo genere. Questi elementi come hanno influenzato la tua serie di cortometraggi PAURA?

TO: I cortometraggi che ho realizzato sono dei tributi [all’horror italiano], sono totalmente manieristici ed estetici. Non hanno una narrazione particolarmente sviluppata, ma sono uno studio sulle tecniche e le soluzioni che al tempo, negli anni ‘70, venivano impiegate. Entrambi sono girati in pellicola 16mm con tutti i crismi dell’epoca, esattamente nello stesso modo con cui si gestivano le luci, il montaggio, le musiche e i tempi. L’horror italiano, in particolare, mi ha ispirato e con esso tutti i suoi stereotipi: la corsa, l’arma, la mano con il guanto di pelle nera e il coltello. Cose, se vuoi, anche banali che però quanto le guardi sanno entusiasmare.

CSJ: C’è un regista che reputi imprescindibile e di riferimento quando si tratta di cinema horror?

TO: Non c’è un solo regista, ma tre: Mario Bava, Dario Argento e John Carpenter.

CSJ: Altrettanto identificative del filone horror italiano sono le musiche. Hai dei compositori o delle colonne sonore che ti stanno particolarmente a cuore nella loro capacità di intrecciare il suono alla struttura narrativa dei film? 

TO: Nella selezione delle tracce ho consultato tutto l’archivio CAM, senza mai dare peso ai compositori per non farmi influenzare a priori. In PAURA ho scelto tracce anche di compositori meno conosciuti, come Luigi Ceccarelli. Morricone, Cipriani, Ortolani e Nicolai sono comunque stati dei punti di riferimento: sono quelli più giusti.

CSJ: Nel corso degli anni hai operato in più mondi e industrie, dalla moda alla musica pop, sempre mantenendo una cifra ben riconoscibile. Quali sono i capisaldi stilistici e attitudinali che guidano la tua arte cinematografica?

TO: Di base, non mi piace definirmi regista, o meglio, esclusivamente regista. Preferisco identificarmi come artista a tutto tondo. Ho sempre cercato di seguire l’istinto, le visioni maturate sin da piccolo e, soprattutto, uno stile riconoscibile che è la cosa fondamentale, al di là degli aspetti tecnici. Lo stesso approccio lo ricerco sul piano musicale, non mi piace finire nel mischione. Il fatto che io sia anche musicista ha inciso tanto sul mio linguaggio; ecco perché continuo a lavorare a video musicali oltre ai corti, ai fashion film e alle pubblicità. Mi piace sempre sperimentare con l’audio e il video, attraversando più mondi.

CSJ: Se ti trovassi a lavorare su un lungometraggio e avessi la possibilità di collaborare con un compositore storico dell’universo CAM, chi sceglieresti e perchè?

TO: Sarò forse scontato, ma direi Ennio Morricone. Lui aveva capito come trasformare in musica qualcosa di visivo, che sembra un concetto banale, ma non lo è affatto. Molti hanno composto musiche bellissime, ma quando le vedi montate sulle immagini non hanno la stessa marcia [di quelle di Morricone]. Tornando al concetto della riconoscibilità, lui è stato capace di creare un genere tutto suo, che – tac – riconosci non appena lo ascolti.

Immagine di apertura: Ottaviano Blitch ne La notte di Evelyn (2022), Tommaso Ottomano. Frame dal film.