Distopica, violenta e alienante, la colonna sonora di Mickey 17 è una metafora della nostra società
Nel sodalizio con il regista sud coreano Bong Joon-ho, Jung Jae-il è diventato il compositore che meglio racconta le criticità del nostro presente società. Dopo le colonne sonore di Okja, Parasite e Squid Game, anche quella di Mickey 17, con Robert Pattinson e ora nelle sale, lo conferma.
In che modo la musica può diventare il veicolo perfetto per rappresentare le incongruenze della società corrente e la sua conseguente distopia? Da sempre l’arte, nelle sue molteplici sfaccettature, ha cercato di raccontarne l’evoluzione mostrando, metaforicamente o meno, le infinite possibilità a cui potremmo andare incontro. Violenza, controllo, isolamento, alienazione, disuguaglianze economiche, sono solamente alcuni dei risultati scaturiti dal progredire del capitalismo e dalla ciclicità nel nostro tempo. Mai come oggi sono diventate una parte fondamentale nel racconto artistico contemporaneo.
Le composizioni classiche nella narrazione cinematografica di Stanley Kubrick invadevano lo spazio circostante distruggendo volutamente la bellezza aulica di tali sinfonie, in antitesi con quanto la violenza esacerbante della sequenza mostrava. Analogamente nel cinema contemporaneo si è sempre più alla ricerca di tali sinestesie; e chi oggi potrebbe rappresentare al meglio tale connubio se non il regista coreano Bong Joon-ho e il connazionale compositore Jung Jae-il?
Il cinema di Bong Joon-ho è sempre stato rappresentazione delle disuguaglianze sociali e della distopia contemporanea che pone ogni singolo individuo alla ricerca di una ricchezza personale, che senz’altro è la forma di controllo del nostro secolo. I suoi protagonisti sono spesso rappresentazioni di antieroi all’interno delle sovrastrutture di classe e potere che determinano e spesso deformano le loro vite. “Molti dei miei personaggi sono confusi”, ha confidato al New York Times. “Sono nel mezzo di una situazione e non sanno cosa sta succedendo. È triste e comico allo stesso tempo.”
Partendo dalla situazione sociale in cui verte la Corea del Sud, in cui ne vediamo la perfetta raffigurazione in Parasite, Bong Joon-ho ha saputo estrapolare perfettamente tale argomentazione riuscendo sia a prevederne le conseguenze, ma soprattutto a estrapolarla nella contemporaneità di ogni società.
Conseguentemente allo sviluppo registico di Bong Joon-ho, il compositore Jung Jae-il, con cui il regista ha iniziato a lavorare sin da Okja, grazie ad una formazione compositiva mitteleuropea, ha saputo costruire nel tempo una cifra capace di rappresentare le tensioni invisibili del potere. La sua è una musica minimalista, circolare, ossessiva, capace di restituire il senso di un individuo intrappolato dentro sistemi tanto perfetti quanto spietati.
Ascoltare la sua composizione per Parasite così come per Squid Game restituisce nella mente dello spettatore melodie tanto delicate quanto la durezza che le immagini dissacranti e violente riescono a comunicare. La lotta sociale per raggiungere la propria indipendenza come singolo individuo, diventa una corsa al massacro dove le melodie dolci e sognanti di Jung Jae-il raffigurano perfettamente l’indifferenza delle classi più abbienti. È una gara senza vincitori, una corsa ritmica senza un effettivo risultato. Gli ultimi restano tali, chiusi in una gabbia sonora concentrica.
L’affinità tra Bong Joon-ho e Jung Jae-il sembra quasi elettiva tanto la narrazione registica e musicale riesce a fondersi congiuntamente e il risultato che ne scaturisce è la perfetta raffigurazione di ciò che dovrebbe essere il cinema contemporaneo, elemento che ritroviamo assolutamente anche nella loro ultima fatica, Mickey 17.
Tratto dal romanzo di Edward Ashton, Mickey 17 è ambientato in un futuro apparentemente distopico in cui parte della civiltà che conosciamo ha lasciato la terra per iniziare a colonizzare nuovi pianeti, nel tentativo di creare nuove possibilità di vita nello spazio. Nella navicella che condurrà parte dei terrestri sul nuovo pianeta Niflheim, la cui missione è guidata dal politico e archetipo trumpiano Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), si trova anche Mickey Barnes (Robert Pattinson), alla ricerca di una nuova possibilità di vita che gli permetta anche di scappare da uno strozzino in cerca di vendetta.
Ma Barnes, differentemente da tutti gli altri componenti della spedizione, accetta senza alcun colpo ferire di sottoporsi al piano dei sacrificabili diventando la cavia perfetta nel poter permettere a tutta l’equipe medica di conoscere tutte le intemperie del nuovo pianeta. Ma cosa comporta tutto ciò? Mickey dovrà sottoporsi costantemente ad ogni tipo di difficoltà che si possa presentare, morendo conseguentemente ogni giorno e successivamente ristampato all’infinito finché il suo compito non avrà sortito l’effetto sperato.

Nella metafora sociale che Bong Joon-ho costruisce attraverso gli stilemi sci-fi, arrivando alla concezione che noi stessi rappresentiamo una società di replicanti persi nei propri compiti giornalieri, il modo in cui la musica intercede sull’immaginario fantascientifico è senz’altro la rappresentazione perfetta della distopia del nostro mondo.
L’eleganza compositiva di Jung Jae-il rappresenta perfettamente il decadentismo e la distruzione culturale della nostra società e il modo con cui il tema centrale di Mickey 17, “Bon Appetit”, segua perfettamente il ciclo terapeutico a cui viene sottoposto lo stesso protagonista, non fa altro che intensificare lo straniamento tra la bellezza di un mondo ormai alla deriva è la possibilità di nuove scoperte di cui l’uomo diventa la principale cavia.
Il ritmo cadenzato della sua sinfonia ricorda il valzer de Il Blu Danubio di Johann Strauss II citando non solo il grande utilizzo che ne fece Kubrick in 2001: Odissea nello spazio, ma infondendo nello spettatore un senso di rassicurazione, un antidoto contro lo shock culturale che il fine di Mickey potrebbe indurre nello spettatore. In questo gioco di rimandi e cortocircuiti estetici si inserisce anche la scelta di sincronizzare un brano come “Terra Lontana”, celebre brano di Nino Rota tratto da Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti, che rafforza ulteriormente l’idea di una malinconia universale e fuori dal tempo, trasportando nello spazio profondo l’eco di una civiltà ormai in estinzione.
Dal minimalismo pianistico sino all’imponenza orchestrale, il compositore mette in mostra come la musica classica possa diventare la perfetta sintesi sia di potere che di controllo, esercitato in questo caso dal politico Kenneth Marshall voglioso di esportare un modello di civiltà che si basi perfettamente su ideali conservatori e religiosi. Una setta che crede solo nell’idealizzazione del singolo individuo e non della socialità e in cui le melodie si fanno sempre più concentriche, chiudendo l’ascoltatore in un loop ipnotico che riflette il dogma del singolo sopra la collettività.
Così facendo ogni elemento sonoro diventa rappresentazione di una musica di regime che tende conseguentemente a controllare coloro che dovranno fondare una nuova civiltà. Nel tentativo di riprendere tutto ciò che avviene all’interno della spedizione, la troupe di Marshall creerà a tutti gli effetti un documentario propagandistico per innalzare la figura del proprio messia, agli occhi del pianeta terra che lo ha più volte bistrattato e respinto, e la musica, anche in questo caso, ne cadenza la sua forma sia elegante quanto orrorifica.
Con Mickey 17, la visione comune di Bong Joon-ho e Jung Jae-il viaggia attraverso lo spazio, nella metafora di conquista verso una nuova identità terrestre, ma a restare centrale è ancora una volta il controllo: sul corpo, sull’identità, sulla possibilità stessa di esistere fuori dal ciclo produttivo. Jung Jae-il è diventato il compositore che più di ogni altro riesce a raccontare il presente attraverso suoni che ipnotizzano, logorano, implodono. Un narratore silenzioso della distopia che abitiamo.
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