Il Taxi Driver all’italiana da riscoprire.
Il curatore di Red Light Disco, Eli Roth, dialoga con l’icona del cinema softcore e giallo italiano degli anni ’70 e ’80 Edwige Fenech a caccia di colonne sonore perdute.
Nata a Bône, nell’Algeria francese, nel 1948, da un padre maltese e una madre di origini siciliane, Edwige Fenech, tra i ‘70 e gli ‘80, ha incarnato il sogno erotico proibito degli italiani. Ma la sua carriera e la sua persona raccontano molto di più. Dopo il debutto cinematografico transalpino, nel 1967 si trasferisce a Roma dove, nei successivi vent’anni, prende parte a film, prima snobbati dalla critica e poi eretti a cult. È qui che avviene la consacrazione a musa del giallo e, successivamente, volto della commedia sexy all’italiana, tra assassinineroguantati, confezioni di Pucci e cosce al vento.
La sua bellezza enigmatica e l’eleganza da diva del giallo sono sempre andate di pari passo con una grande versatilità attoriale, a lungo sopravvalutata. Fenech ha saputo farsi volto del cinema thrilling di Mario Bava e Sergio Martino, della commedia scollacciata di registi come Mariano Laurenti e Michele Massimo Tarantini, ma anche alla visione intellettuale di Pasquale Festa Campanile (Il ladrone, 1980).
Questo ha fatto di Edwige Fenech un punto di riferimento per Eli Roth nella curatela la Red Light Disco, la nuova raccolta CAM Sugar che esplora il suono del cinema italiano proibito, dal 1969 al 1984.
L’attrice è stata centrale nella selezione dei brani, ispirata ad alcuni dei suoi ruoli cult. Uno di questi è Taxi Girl, commedia sexy del 1977 diretta da Tarantini. Concepito tra il Taxi Driver di Scorsese e il sequestro Moro, il film appartiene a quel fortuito filone con cui l’industria cinematografica italiana riproponeva – con genio farsesco e straordinaria arte dell’arrangiarsi – blockbuster hollywoodiani. Qui è Fenech a sedere (e spogliarsi) al volante del taxi. La giacca M-65 dell’esercito statunitense di De Niro è sostituita da un outfit in PVC nero, e al posto del celebre moicano dell’attore c’è la chiome castana della Fenech, che a tratti lascia il posto a una parrucca di ricci platinati. In fin dei conti, Taxi Girl è un sexy pulp all’amatriciana, divertente e iperbolico.
“Facevamo film che non erano visti di buon occhio perché non erano intellettuali e non trattavano di attualità. Sai, era un periodo turbolento in Italia. Eppure eravamo molto felici di fare cose che incassavano molto più di film considerati di alti o di cultura dalla critica”, racconta oggi Edwige Fenech, intervistata da Eli Roth per il magazine di Red Light Disco, incluso nell’edizione doppio vinile della raccolta.
Taxi Girl (come molti altri film con Fenech protagonista) siede nell’olimpo della commedia italiana, ma la musica – si potrebbe sostenere – è il suo vero potenziale inesplorato. La colonna sonora, ricca di strumentali jazz-funk trainati da ritmiche serrate e wah wah, è a firma Pulsar Music Ltd., elusivo gruppo di studio dietro cui si nascondevano le identità di Silvano Chimenti e Enrico Pieranunzi, nomi illustri del jazz italiano e a lungo collaboratori di Ennio Morricone.
La chitarra di Chimenti è quella che si sente in Metti una sera a cena, in Quattro mosche di velluto grigio di Dario Argento, ma anche in Sacco e Vanzetti e Il mio nome è nessuno. Il piano di Pieranunzi, invece, è protagonista in una delle rare incursioni di Morricone nel jazz: Il bandito dagli occhi azzurri, thriller dell’‘80 con un Franco Nero Dr. Jekyll e Mr. Hyde.
Le colonne sonore sono al centro della riscoperta del genere, e senza dubbio sono l’elemento che, insieme ai costumi e alla scenografia, ha meglio resistito alla prova del tempo. Parte del loro fascino risiede anche nella loro rarità, che le rende ancora sfuggenti agli standard digitali di fruizione musicale a cui siamo abituati oggi.
Come ha sottolineato Eli Roth nel selezionare i brani per la raccolta, “L’horror spagnolo Pieces del 1982 è uno dei miei slasher preferiti di sempre, ma per anni non si sapeva di chi fosse la musica. Alla fine dei titoli di coda c’era scritto soltanto ‘Music from CAM’. Non c’era traccia di chi fosse [il compositore], non la trovavi su Shazam, nessuno riusciva a identificare la canzone della scena della scuola di aerobica.”
Quel brano, che si intitola “Running Around”, è una versione tutta italiana di “Funkytown” dei Lipps Inc. composta da Stelvio Cipriani per la colonna sonora di Un’ombra nell’ombra. Ora è disponibile, per la prima volta su vinile, completamente rimasterizzata dai nastri originali dell’archivio CAM Sugar, accanto alla musica di Taxi Girl in Red Light Disco, grazie alla curatela di Roth.

Eppure, tornando ai film, rivederli a 40 anni di distanza dalla loro uscita sembra rivelare più livelli di lettura di quanto ci si potrebbe aspettare. Nonostante il male gaze della regia, emergono personaggi femminili, vere eroine nazional-popolari, capaci di autodeterminarsi tra ometti allupati, buffi e grotteschi.
“Devo dire che ho riscoperto molti dei miei film solo anni dopo la loro uscita. Lo strano vizio della Signora Wardh, Perchè quelle gocce di sangue sul corpo di Jennifer e, oltre ai gialli, Il ladrone di Pasquale Festa Campanile, che prima di tutto era un grande scrittore.Quando sei giovane e vivi il momento forse non ti rendi pienamente conto di cosa stai facendo. Riguardandoli dopo tanti anni ti accorgi che non sono invecchiati: le trame sono solide oggi come allora, e ti stupisci anche del lavoro che è stato fatto. Ora non vedo più me stessa sullo schermo, ma un’attrice che fa dei film…”
Anche l’iconografia delle commedie, che promuoveva corpigiunionici e iper-sessualizzati – rivela Fenech – era un gioco di proporzioni, volutamente esagerate.“Quando si trattava di ruoli comici, a volte indossavo parrucche o anche protesi. Ad esempio, in Giovannona Coscialunga disonorata con onore la parte inferiore era mia, ma la parte superiore era tutta protesi. Il corpo doveva sembrare comico, iperbolico e anche un po’ grottesco.
”Oggi, Fenech riguarda a questi film con l’intelligenza e l’autoironia di chi è consapevole che la sua vita e la sua carriera sono state molto di più dei ruoli nelle commedie sexy per cui viene spesso ricordata. Dopo la grande stagione del cinema di genere, negli anni ’90 Edwige è stata una produttrice di rilievo, una carriera che l’ha vista riunirsi con Sergio Martino – fratello di Luciano, compagno di vita per undici bellissimi anni – per la serie prodotta da Fenech Delitti privati.
Ora, confessa, il suo sogno è “interpretare una serial killer, perché mi interessa la psicologia del personaggio, cosa spinge una persona a compiere un atto così estremo. Penso che quando gli attori amano il loro lavoro, chiedono sempre di andare oltre.”
Non dovrebbe sorprendere, dopotutto, scoprire che la Edwige privata non è mai stata una femme fatale come quella che ci si aspetta dal grande schermo.“Naturalmente amavo la musica disco, ma non ho mai amato le discoteche. Preferivo stare in compagnia di amici a parlare di tutto e di niente, ma soprattutto essere in grado di capirci e scambiarci idee. Non sono mai stata una pazza!”.
Leggi l’intervista completa nella rivista inclusa nell’edizione deluxe doppio vinile e nell’edizione doppio vinile standard di Red Light Disco.
