Parthenope: la Napoli che si spoglia secondo Paolo Sorrentino
Il regista premio Oscar ritorna a raccontare la città, in un ritratto della sua borghesia che si mescola al mistero e al folklore.
Unico italiano in gara a Cannes, il regista de Le conseguenze dell’amore torna sulla Croisette nello stesso identico giorno di vent’anni prima, 21 maggio, questa volta con Parthenope, prodotto da Saint Laurent Productions.
A mezzanotte e trenta, al Grand Théâtre de Lumière, sul finale di un inconfondibile canto ultras che inneggia “un giorno all’improvviso mi innamorai di te”, tutto il pubblico in sala era in piedi ad applaudire Paolo Sorrentino.
Nel cast troviamo un leggendario Gary Oldman, Silvio Orlando, Dario Aita, Daniele Rienzo, la ventiseienne milanese Celeste Dalla Porta, nipote del fotografo Ugo Mulas, e Stefania Sandrelli. Il suo nome ci fa viaggiare di nuovo indietro nel tempo, quando l’attrice recitò nel dramma La terrazza (1980) di Ettore Scola, per cui proprio sulla Croisette vinse il premio come migliore attrice non protagonista.
Scola, infatti, è da sempre stato mentore e amico di Sorrentino, il quale ha più volte dichiarato di essersi ispirato proprio a questo film per costruire La grande bellezza. “Scola era il grande anello di congiunzione tra malinconia e ironia. Avevamo una bella amicizia. L’ho sempre invitato a vedere i miei film prima che uscissero, ci tenevo a sapere il suo parere.”
E chissà cosa avrebbe pensato di Parthenope, incarnazione stessa del mito greco della sirena, allegoria della libertà che ammalia e incatena a sé uomini e donne con la sua voce (e le sue battute pronte). Chi non sopporterà il suo canto, sarà costretto a gettarsi negli abissi.
Ambientata in una Napoli tra il passato e il presente, a patire dagli anni Cinquanta, quella di Parthenope (Celeste dalla Porta) è la storia di una ragazza che cresce insieme alla consapevolezza del suo fascino e della sua bellezza, ma alla seconda preferisce il primo: l’intelletto, lo studio, l’antropologia, cioè la capacità di ‘vedere’ e non di apparire.
Ama le parole e ci pungola con le risposte più ovvie e ci lascia in sospeso con le domande più difficili. E il tempo passa, gli anni si consumano sulla terrazza sul mare, fatta di acqua e sale, tra Posillipo e Capri, in un’estate di inconfessabili lacrime e segretissimi amori giovanili.
La potenza estetica sorrentiniana, infatti, si compie sullo schermo e spiazza lo spettatore. Un’attitudine che si esprime anche nelle scelte musicali, raffinato ponte tra tradizione pop e folklore. Ci sono Riccardo Cocciante (“Era già tutto previsto”), Gino Paoli (“Che cosa c’è”) ed il cantautore casertano Valerio Piccolo con “E si’ arrivata pure tu”, unica composizione originale del film.
La fotografia di Napoli è presto fatta: la città partenopea è determinata e svogliata, miracolosa e truffaldina, sacra e profana.
Il regista la spoglia, la mette a nudo. Ma lei non se ne vergogna. La telecamera passa in rassegna, frame dopo frame, donne che si liberano dei loro foulards, dei veli, degli scialli sulle spalle in uscita dalle chiese, delle belle giacche sartoriali e mostrano pelle e confiance.
Così Sorrentino sembra solo apparentemente lasciarsi alle spalle la Napoli de È stata la mano di Dio, per raccontarci la Posillipo alto-borghese, che dietro una calma serafica e sprezzante nasconde profondi disagi interiori. In questo è evidente l’allusione alla lezione di Scola con i suoi ritratti dell’intellighenzia di sinistra. A fare da contrappunto, ritorna ancora una volta, la fotografia della Napoli visceralmente amata dal regista. La Smorfia, i bordelli, la miseria, il teatro e le sue maschere, il miracolo di San Gennaro e il sangue che non si scioglie. O forse sì?
Immagine di apertura: Parthenope, frame dal film, 2024.