Una casa di riti e rituali. Come la villa de Il Disprezzo è diventata una passerella di moda.
Casa Malaparte, la villa appartenuta allo scrittore, e regista Curzio Malaparte e apparsa nel celebre film di Jean-Luc Godard, è stata scelta da Jacquemus per la sfilata che festeggia i 15 anni della maison.
“Una casa di riti e di rituali, una casa che immediatamente ci riporta, con brivido, ai misteri e ai sacrifici egei: un gioco anotico in una luce italiana.” Così l’architetto e artista americano John Hejduk descriveva Casa (o Villa) Malaparte sulle pagine di Domus nel 1980.
La villa eretta su volontà dello scrittore Curzio Malaparte a Punta Massullo, golfo di Capri, per decenni ha affascinato architetti e intellettuali, diventando anche set onirico ed alienante de Il disprezzo (1963), film di Jean-Luc Godard tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia del 1956. Un landmark architettonico, letterario e cinematografico, ma anche di etichetta: Casa Malaparte è prima di tutto un enigma.
Lo ha compreso anche il mondo della moda. Prima, a fine anni ’90, Karl Lagerfeld che alla villa caprese dedicò addirittura un libro (Steidl, 1999) con gli scatti realizzati nei cinque giorni di soggiorno nel novembre 1997. Oggi Jacquemus, la maison francese che per celebrare il suo quindicesimo anniversario ha scelto la villa come setting della sua cruise. Ci sono echi di quell’eleganza mediterranea che appartenne al padrone di casa, ma anche a Brigitte Bardot e Michel Piccoli che la abitarono, seppur temporaneamente, davanti alla macchina da presa di Godard. Rimandi alla cinematografia europea dei ‘60 che Jacquemus già aveva fatto propri nella recente campagna per la borsa Calino, accompagnata dalle seducenti musiche di Nora Orlandi per Il dolce corpo di Deborah (1968), provenienti dal catalogo CAM Sugar.
Come scrive su Instagram Simon Porte Jacquemus, fondatore della maison, postando una delle Polaroid di Casa Malaparte realizzate proprio da Lagerfeld: “Questa fotografia mi ha aperta le porte di questa casa. Lo scorso anno ai Met Gala in onore di Karl Lagerfeld, una stampa di questa fotografia cucita sulla mia giacca ha attirato la curiosità dei proprietari della casa. Ne sono stati colpiti e hanno deciso di invitarmi a soggiornare nella casa. Così è come ho iniziato la conversazione. È così speciale.”
Isolata e monolitica, circondata solo dal mare e dalla vegetazione, Casa Malaparte ricorda un’altra casa d’autore legata a doppio filo alla storia del cinema: la cupola di Dante Bini per Michelangelo Antonioni in Costa Paradiso, Sardegna.
A progettare la villa nel golfo di Capri è, invece, Adalberto Libera, tra i nomi di spicco del modernismo italiano, che ne redige il progetto nel 1938, su un terreno acquistato due anni prima per 12.000 Lire da Malaparte al pescatore Antonio Vuotto.
Si dice che Malaparte litigò, in realtà, con il celebre architetto per poi completare i lavori con l’aiuto di Adolfo Amitrano, artigiano locale.
La maledizione della villa sembra, così, non lasciare pace nemmeno a chi la frequenta. A oltre vent’anni di distanza, anche Godard si trovò a litigare con Carlo Ponti, che sembra rispecchiare Jerry Prokosch (Jack Palance) l’eccentrico produttore al centro delle vicende del film. Ponti, che reputò l’opera eccessivamente complessa e prolissa, mise mano al director’s cut per una versione per il mercato italiano e spagnolo che non venne mai riconosciuta da Godard. Per l’occasione venne anche ingaggiato Piero Piccioni, per riscrivere le musiche, originariamente composte dal francese Georges Delerue. L’esito è, però, sorprendente: una colonna sonora ariosa e mediterranea, ricca di spunti jazz, frasi di organo Hammond e suggestioni esotiche.
Non a caso sono molti gli artisti e gli intellettuali che hanno nel tempo provato a decodificare l’enigma della villa. Piccioni e Delerue in musica, Godard con la cinepresa, Bruce Chatwin con le parole: “Una nave omerica finita a secco”.
Dopotutto, l’Odissea è proprio l’opera che nella meta-finzione cinematografica il regista Fritz Lang (nel ruolo di sé stesso) sta provando a girare con grande scoramento del produttore Jerry Prokosch. È a questo punto che lo sceneggiatore Paolo Javal (Michel Piccoli) viene ingaggiato, arrivando sul set con la moglie Emilia (Brigitte Bardot). Qui verranno ospitati da Prokosch nella sua villa di Capri, Casa Malaparte, che entrerà con la sua imponenza architettonica e atmosferica nelle dinamiche della crisi coniugale della coppia.
A dominare la costruzione è il solarium, una superficie lunga e piana, a cui conduce l’imponente scalinata, che metaforicamente tende al cielo, all’infinito.
Il solarium, linea d’orizzonte metaforica tra cielo e mare, è il teatro di una delle scene cult de Il Disprezzo, o almeno una di quelle maggiormente rimaste nell’immaginario collettivo: una Brigitte Bardot nuda distesa a prendere il sole, solo un libro (una monografia su Fritz Lang) aperto a coprire il fondoschiena che funge, altresì, da segnalibro. E ancora, la Bardot che percorre la scalinata in un accappatoio di spugna gialla, al fianco di Michel Piccoli in un abito, off white, e trilby hat scuro. Look estivi oggi perduti. Come cambiano i tempi, ma Casa Malaparte rimane, serafica e totemica, monolite ancestrale che sembra essere rimasto a secco, come scriveva Chatwin.
Immagine di apertura: Michel Piccoli e Brigitte Bardot in un frame tratto da Il disprezzo, Jean-Luc Godard, 1963.